Intolleranza al lattosio e Breath Test
Fino ad oggi per verificare l’intolleranza al lattosio veniva effettuato per lo più il Breath Test all’idrogeno (BTH) in grado di valutare la presenza di idrogeno nell’espirato prima e dopo la somministrazione di lattosio. Il BTH comporta un grande impegno temporale da parte del paziente, circa 4 ore da trascorrere in clinica talvolta con manifestazioni importanti dopo l’ingestione del lattosio.
I pazienti inoltre devono prepararsi adeguatamente nei giorni precedenti il test; nonostante questo, alcune patologie concomitanti, comportamenti non adeguati precedenti il test o l’assunzione, talvolta obbligata, di alcuni farmaci, possono portare a risultati falsi positivi o negativi.
Diversamente il test genetico risulta essere non invasivo e veloce presentando risultati certi circa il rischio di sviluppo dell’intolleranza al lattosio. Numerose ricerche hanno portato alla validazione e determinazione della specificità e sensibilità rispetto al BTH per cui è possibile proporre il test genetico nella pratica clinica.
Inoltre questo tipo di analisi permette di distinguere tra l’intolleranza al lattosio di origine genetica, tipica dell’età adulta, e la forma indotta secondariamente (deficit secondario) in conseguenza di altre patologie per deficit di lattasi dovuto a danno della mucosa intestinale in seguito a gastroenteriti, alcolismo cronico, celiachia, disordini nutrizionali, terapie farmacologiche o interventi chirurgici, evitando falsi positivi e il sottoporsi da parte del paziente ad analisi particolarmente invasive come la biopsia intestinale o impegnative come il Breath Test.
Recentemente è stato identificato sul cromosoma 2 (2q21) il gene della lattasi, nel quale è stato identificato un polimorfismo genetico, responsabili della persistenza enzimatica, nelle posizioni -13910 del gene. La variante C-13910 (Citosina in posizione -13910 del gene della Lattasi) è associata con la non-persistenza della lattasi mentre, la variante T-13910 è associata alla persistenza della lattasi.
Questa variante perciò costituisce un vantaggio selettivo grazie al quale chi la possiede mantiene attivo il gene della lattasi riuscendo ad assimilare il lattosio anche in età adulta. Numerosi studi hanno confermato come l’analisi di questo polimorfismo costituisca un valido strumento di diagnosi per intolleranza da lattosio. La variante genotipica CC associata ad una minore trascrizione del gene è correlata con il fenotipo di intolleranza al lattosio.
Dal momento che il declino dell’attività della lattasi si sviluppa, nelle popolazioni europee, fra i 5 e i 12 anni, il test genetico effettuato nei bambini deve essere interpretato con attenzione. In questo caso l’analisi della variante -13910 T>C, deve essere considerata come un test di esclusione, utile cioè per escludere il coinvolgimento della componente genetica nell’insorgenza di eventuali disturbi conseguenti all’ingestione di alimenti contenenti lattosio.
I genotipi CT (soggetti eterozigoti) e TT (omozigoti) correlano generalmente con un fenotipo di persistenza della lattasi, ad esclusione dei casi in cui vi può essere un’intolleranza secondaria al lattosio, associata ad altre patologie (celiachia, morbo di Crohn, colite,…) o assunzione di particolari sostanze (abuso di alcool, alcuni farmaci, …). Per il polimorfismo -13910 T>C recenti studi mostrano che il 91-97% dei genotipi CC è associato al BTH positivo, mentre circa l’86-95% dei genotipi CT e TT correla con un BTH negativo.